Fuori piove,
la stanza è calda
e il fuoco che arde nel caminetto,
lo sento attraverso il vetro che lo
riflette
mi dà la strana sensazione, a
tratti calda, a tratti fredda
di una cascata d’acqua pronta a travolgermi,
ed è in fondo davvero peculiare il
modo assolutamente
personale che abbiamo di lasciarci
possedere dall’immaginazione,
in questo stillicidio di pensieri,
idee che si mescolano
a preoccupazioni, liste della spesa
e pannoloni,
calderoni di osservazioni,
pillole di saggi propositi e
disegni di vecchi progetti,
il rumore della pioggia si fonde
col drammatico ticchettio di un
doppio orologio
che scandisce il tempo delle scelte
e dei giudizi
in questa quarta dimensione
che è la più grande costrizione
alla quale ci pieghiamo, schiavi di
un mistero
indecifrabile;
mi volto, e appena in tempo
sento pronunciare parole
che in alcun modo mi lasciano
scampo:
-Shāh Māt-
La partita è finita
il re è prigioniero
Silvia è scappata
il treno è partito.
Mi scuoto e mi dimeno,
mi mostro aliena da me,
mi nascondo e faccio di tutto
ma poi mi calmo e mi rintraccio
devo far pace con me stessa
quindi “te ne dico e ringrazio e
maledico il mondo com’è”!
Sto giocando
conto le carte,
è contro il regolamento?
Non me l’avevano detto
di dichiararmi apertamente
scorretta
io faccio il baro
sono abituata a truccare
non so se imparerò ad amare,
forse non gradisci che rubi
un po’ dei tuo sentimenti,
lasciami guardare nel tuo passato
e ti giuro che ti tenderò la mano
perché tutto quel che abbiamo sono
solo sottili differenze.
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