Maurits Cornelis Escher Mani che si disegnano |
Lo spazio era angusto e l'odore che aleggiava era acre e
chimico. Il capannone, dopo tanti buoni propositi e tentativi svaniti nel
nulla, era stato riadattato a laboratorio fotografico seppur ancora in via di
allestimento "definitivo". Il suo progetto era partito cosi,
un po' alla buona, tanto che, all'epoca in cui aveva iniziato i
lavori di riadattamento di quel tugurio, non possedeva neanche una macchinetta
professionale. Erano trascorsi cinque anni e gli sembrava ancora ieri. Le cose
non erano cambiate di molto. O forse si. Oppure no. Lui era cambiato. Chi
poteva dirlo? Aveva bisogno di un riferimento, era cambiato rispetto a chi o
che cosa, qual’era il termine di paragone? Era possibile confrontarsi con se
stessi, considerando il sé precedente come termine di paragone di una possibile
presa di coscienza odierna? Dopotutto,
l’oscurità in cui viveva, gli aveva annebbiato anche le reti cerebrali.
Non troppo afflitto da tali vaniloqui, si accese una sigaretta. Ogni giorno
blaterava che avrebbe sistemato tutto, ma ormai quella sistemazione provvisoria
era più definitiva di qualsiasi altra cosa nella sua vita. La camera oscura era
la sua casa.