sabato 12 ottobre 2013

Punti di vista


Punti di Vista




-Presto papà. Dobbiamo fare presto! Il treno parte tra venti minuti.-

- Si, si facciamo in tempo Marina, non ti preoccupare.- fece suo padre mentre metteva in moto la macchina, non dopo aver tirato uno degli ossi di carne avanzati dal pranzo ai cani.

- Lo spero, sono la prima all'appello. Dobbiamo fare in tempo per forza.- disse Marina nervosa.

- Stai tranquilla, Marina, che andrà tutto bene.-

-Vedremo-.

Durante il tragitto in macchina, Marina si abbandonò ai chilometri, come ci si abbandona a qualcosa che ci porta avanti senza farci camminare, né fare la benché minima fatica. Con la testa di lato, appoggiata allo schienale, osserva il paesaggio, la strade e le altre macchine.

-Oddio, papà!-.

-Un auto dietro di loro, si lanciò in galleria in un sorpasso più che azzardato, sorpassando loro e un altro mezzo e schivando un camion che veniva in direzione contraria, per un pelo.

-Marina, stai calma! Te lo dico e te lo ripeto: stai calma!-

- Ma come faccio a stare calma papà? Ma hai visto quello? Ma è matto!?-urlò.

- Si! Ce ne è di gente matta, in giro tesoro mio!.- disse suo padre bonariamente.

- Papà ma se lo sorpassava poco più tardi avrebbe fatto un frontale, e ci saremmo finiti anche noi di mezzo nello scontro, non ce la faccio a stare calma!-

- Marina, non puoi ragionare cosi. Hai un esame a breve, devi essere lucida e per essere lucida, devi stare calma. Vedi di non dare i numeri, anche perché poi una bella cinquina che mi faccia diventare ricco non la prendi mai!- disse suo padre sarcasticamente.

Arrivati alla stazione, cominciò a scendere una fitta pioggerellina. Pioveva a vento, quindi anche ripararsi con l’ombrello non aveva molto senso. A Marina in quel momento non importava granché del tempo, quanto meno non in senso climatico, bensì temporale. Nonostante i vari inconvenienti e la corsa contro il tempo, arrivarono in anticipo, cosa che divenne il vanto di suo padre. Fece il biglietto, e aspettò il treno, nell’apatica sala d’aspetto di quella pseudo abbandonata stazione ferroviara vicino casa loro. La muffa colava dagli angoli delle pareti, e si mescolava nell’umidità generale, al fetore dei gabinetti senza porta, brulicanti di batteri. Non diede molto peso alle scritte sui muri, che erano solitamente motivi di ilari risate con i suoi compagni di scuola. Ana 02-05-436 chiamami, e messaggi subliminali di vario tipo.

-Drin, drin, drin…Il treno per Roma Termini è in arrivo al binario 1.-

Il treno sta per arrivare. L’ansia si rimescolava nel suo stomaco insieme a profondi bruciori a livello epigastrico, e la scuoteva da dentro, portandola nondimeno a credere che una serie di fantastiche e malefiche creature popolassero le sue viscere.

-Ciao papà!-

-In bocca al lupo cara, fammi sapere!-

- Si!-. disse un po’ rintronata.

- Marina, ma non ti auguri che crepi il lupo?-.

-Ah, si , si, grazie, crepi crepi.- disse Marina in tono distratto già con un piede sopra al vagone.


Prese posto a fianco di una coppia di giovani. Il vagone era quasi deserto. Odiava stare sola o avere vicino gente che la importunasse anche solo con occhiate indiscrete, cosi per mimetizzarsi come un complemento d’arredo del regionale si sedette vicino a quei ragazzi. Salutò il padre dal finestrino. Già lo sapeva che in quell’ora e mezza di viaggio, si sarebbe ritrovata in dialogo a tu per tu con la sua coscienza, e la coscienza si sà che quando ti viene a trovare, quella santarellina non ti lascia scampo o grandi alternative. Mhmhm, Marina, lo sapeva, sarebbe stato un viaggio angosciante. Ogni volta che doveva sostenere un esame, era sempre la solita storia. Odiava le sensazioni che avvertiva prima di un esame, in modo quasi paragonabile a quanto amava le sensazioni che provava prima di un concerto. Agli antipodi. Il polo Nord e il Polo Sud. Provò a mettersi comoda sul sedile. Prima rivolta a destra. Ma il suo culo ossuto, le impediva di trovare una posizione sufficientemente comoda. Mannaggia a quegli avidi del servizio pelletteria, potevano metterci un po’ più di gomma piuma anche loro. Sti infami. Si sistemò rivolta verso sinistra. Stesso disastro, se non peggio. Si piazzò al centro con le gambe divaricate a terra. Ma perché era una di quelle donne che non riuscivano a stare con le gambe divaricate, ma avvertiva la fondamentale necessità di accavallarle in un verso o nell’altro. Santa Miseria. Lei senza incrociare le gambe proprio non ci poteva stare, anche se alla lunga era fastidioso uguale, perché le si intorpidivano i ginocchi. Oddio, ma come faceva a fare sti pensieri, poco prima di un esame?



Era in pieno flusso di coscienza, ecco che adesso, degna erede di Molly Bloom avrebbe preso ad immaginare polpettoni e arrosti, insieme a piatti di porcellana, stoviglie da lavare, amplessi, sigarette e panni da stirare. Beh, che dire la vita della studentessa universitaria, e per giunta pendolare è proprio dura. Lei si che lo sapeva, lei si che lo poteva confermare, giurare e spergiurare. Poi d’un tratto, veloce come la macchina che in galleria li aveva azzardatamente sorpassati, un acume di responsabilità tuonò nel suo cervello, lanciando un guanto di sfida e assumendo la pole position su tutti gli altri vagheggi. Ma se la Babudri, mi chiede il phage display? Oddio, ma che le racconto, io non l’ho capito tanto bene, cioè non ne sono affatto sicura. Come funziona il saggio biologico con questi fagi. Allora Marina, facciamo il punto della situazione, sono i fagi che.. dicendo, non possono essere…mhmmh.. non credo, cioè non mi pare.. Forse ho dormito poco stanotte. In quel momento, riusciva solo a pensare al fatto che il suo ragazzo era capace di stare tranquillo e rilassato prima di un esame magari guardando dragon ball z alla televisione (dragon ball gt proprio no, perché quello non lo sopporta nessuno!) o ancora giocando alla play-station. Solo lei aveva queste crisi isteriche, prima di un esame, o magari c’era qualche altro sfortunato studente/studentessa, se si, avrebbe tanto voluto confrontarsi con loro e fare a gare a darsi gli schiaffi, finché non sarebbero tornati in sé. Poi di nuovo, un altro nefasto pensiero la incalzò in un angolino della mente, e se non c’è la professoressa, ma è presente l’assistente? No, no, no, la professoressa non poteva lasciare l’orale in mano a quel beccamorto.

Come faceva? Era evidente, che quello non l’aveva presa di buon occhio, aveva sbagliato una diluizione in laboratorio e per quella piccola svista, il beccamorto l’aveva presa di mira, l’aveva già etichettata come una stupida. E’ vero che la prima impressione è quella che conta, ma certe volte siamo talmente impacciati alla prima impressione, che ne dovrebbe essere gentilmente concessa una seconda per dimostrare quanto valiamo. In fondo, lei era una delle più brillanti studentesse del suo anno e lo diceva obbiettivamente, adesso doveva passare per l’idiota di turno, solo per via di quella diluizione sbagliata, perché è per quello che il beccamorto l’avrebbe ricordata. Cercando di dare un taglio a questi frenetici pensieri decise di mettersi le cuffie ed attaccare l’mp3. La musica le permetteva di isolarsi dagli altri, ora era indispensabile isolarsi da sé stessa e dai suoi controproducenti pensieri. In corsa sul treno, è sempre un viaggio dentro al viaggio. Che si percorrano 10 km, 200 o 500, una volta che si sale su, è sempre una partenza e ciò porta con sé con un perturbante alone di mistero, dagli incontri con gli sconosciuti, alle chiacchieri con i pendolari della solita tratta, all'inconveniente di un guasto, allo scenario dell’Appennino, fino al caldo abbraccio di un libro o all'affetto della nostra playlist musicale preferita, c’è sempre qualcosa di strano e qualcosa di vagamente familiare in tutto questo. Tutto ciò si concretizza in una caccia continua a scoprire segni, inventare storie, perdersi in mirabolanti avventure, guardare ombre, ascoltare musica e soprattutto sgranocchiare panini di seconda classe in seconda classe. Questo è viaggiare con Trenitalia, ed in fondo solo un italiano può capire il modo assolutamente nostrano che noi penisolani abbiamo di amare ed odiare il nostro servizio ferroviario. Odiamo i ritardi a cui Trenitalia consuetudinalmente ci abitua, d’altra parte amiamo, gli scenari che ogni volta un viaggio in treno ci offre. Un valido compromesso, tutto sommato. Mentre, era intenta a sonnecchiare, e a godersi il ticchettio della pioggia che sbatteva veementemente contro il vetro del finestrino, finalmente sbracata sul suo sedile, giusta in quella scomposta andatura, arrivò il controllore. Cosi svogliato a compiere il suo lavoro, ligio e solerte a controllare che gli altri abbiamo vidimato il biglietto. Prima il controllore si fermò dalla coppia accanto a lei. Poi venne dalla sua parte. Mostrò il biglietto al controllore, ancora con le grandi cuffie alle orecchie, fingendo di essere intenta nell’ascolto di qualche canzone, mentre era ancora in realtà persa a domandarsi quale argomento sarebbe stato meglio scegliere, se la professoressa l’avesse graziata con una domanda a piacere. Che poi non c’è fine peggiore della morte che si sceglie.


Quando il controllore, si diresse al vagone successivo, lei buttò un occhio ai giovani che aveva a fianco. Parlavano una lingua dell’est, ucraino, polacco, sicuramente non rumeno. Il rumeno lo sapeva riconoscere e non erano rumeni, sicuramente non parlavano rumeno. Guardandoli meno distrattamente, notò una piccola figura tra loro. Come poteva non essersene accorta prima? C’era anche una bambina che rideva e sghignazzava, seduta in mezzo a loro mentre giocava con un cellulare o un videogioco, non avrebbe saputo dirlo a quella distanza. Era una piccola figura graziosa, tutta vestita di rosa, con un cappellino in testa. Rideva e sghignazzava in una lingua sconosciuta. Anche lei era cosi solare, quando era piccola, a quell’età si è senza pensieri e si ride solo per il gusto di farlo. Per un attimo si rivide in quella bambina. Fu un attimo e poi anche lei girò la testa ed incrociò i suoi occhi. Avvertì una sensazione sgradevole ed ebbe paura. Aveva visto bene? Cosa c’era in quella bambina? Non avrebbe saputo dire se il suo volto di piccolo angelo fosse deturpato da una grave ustione o se si trattasse di una qualche malattia congenita. Cosi felice, cosi soave, cosi leggera. Ride e scherza, e risplende di un bagliore di serenità, curiosa guarda il mondo, senza paura di essere essa stessa guardata. Senza impurità. Ed io che ho paura a specchiarmi, appena alzata, non ho ancora capito il senso del sentirsi bene con se stessi. Me lo faccio insegnare dal volto felice di questa bambina. Da questo momento in poi, scaccio via senza fatica i pensieri angoscianti che fino a quel momento mi avevano soggiogato e prevaricato. Non ho più la nuvola dei cattivi pensieri a farmi pesante la testa. Niente più esame, niente più professoressa, né beccamorto. Mi rinfilo le cuffie, seleziono la playlist preferita, mi perdo nel sedile più grande di me e mi godo il paesaggio.

Il treno viaggia, e mi sento meno pesante, come se fossi io a scivolare sulle rotaie, e non fatico e non strido, guardo l’Appennino e sogno il mare. L’esame è vicino, ma il suo pensiero è lontano. A Tiburtina, siamo già tutti in piedi a raccattare borse e valigie, a ricomporci. Anche lei salta giù dal sedile, si ferma in mezzo al passaggio, e mi fissa. La guardo. All’inizio, faccio fatica a sostenerne lo sguardo. Sono io che devo fare i conti con me stessa. Lei è pura ed innocente. Sono tanti i punti di vista della vita. Mi riempio i polmoni di coraggio, mi ubriaco d’aria, caccio un sospiro e sostengo il suo sguardo magnetico: siamo io e lei a tu per tu. Ora che la guarda meglio è bellissima, nella sua serenità. E alla fine è cosi siamo belli, se ci sentiamo belli, se stiamo bene nei nostri panni. La guardo ancora, col suo cappellino colorato in tutte le possibili sfumature di rosa. Non lascia intravedere capelli, nessun segno di peluria sul viso, non ciglia, né sopracciglia. Mi sembra un angelo. Accenno un sorriso. E poi guardo fisso a terra. Lei ricambia, e mi guarda, mi studia a suo mondo. Devo sembrargli una strana creatura. Siamo entrate subito in simpatia, scambiandoci sguardi empatici. Sono punti di vista, prospettiva bilaterale dai miei occhi, al suo naso all'insù mi sento sotto esame. L’esame è arrivato, ma non è di genetica che parliamo. Il treno rallenta, cammina piano, siamo a Termini ormai. Ho ancora lo sguardo a terra. La bambina vestita di rosa, mi passa accanto, cantando, salterellando e sghignazzando nella sua lingua. Mi tira la manica della giacca. La madre la ammonisce. La saluto e la vedo passare, con la sua aura di positività e la sua gioia di vivere, la sua assenza di macchia o di paura. A questo punto dovrei interrogarmi seriamente sulla relatività. E in effetti, rammento a me stessa, che è tutta questione di punti di vista. Sono ormai fuori dal treno, con un senso di maggior sollievo. Stai calma, mi dico. Ricordo mio padre, e mi dico vada come vada, appena ho finito mi gioco una cinquina. Sono sempre punti di vista.


3 commenti:

  1. un viaggio angosciante! ma...sono punti di vista naturalmente!! io non potrei mai vivere sempre un'agoscia del genere ma..forse è per questo che non mi sono laureata?!
    baci

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  2. Auguri per anno con solo buone notizie... BUON 2014 :* <3

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